Programma di Unità Operativa - Gammapatie monoclonali e Mieloma Multiplo



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Responsabile Scientifico:
Prof.ssa Elena Zamagni
Dirigente Medico U.O. Ematologia; IRCCS S.Orsola Malpighi, Bologna; Professoressa Associata, Università di Bologna, SSD Malattie Del Sangue.

Il gruppo di ricerca Gammapatie monoclonali e Mieloma Multiplo (MM) è caratterizzato da una componente clinica, largamente coinvolta nella gestione e terapia dei pazienti con MM, leucemia plasmacellulare e amiloidosi AL in tutte le fasi della malattia e nelle attività di ricerca clinica, mediante promozione e conduzione di studi clinici - nazionali e internazionali, di fase I, II e III e nella stesura di raccomandazioni/linee guida per le patologie in oggetto - e da una controparte di laboratorio, che svolge ricerca di tipo traslazionale nell’ambito della biologia molecolare, citogenetica e biologia cellulare, col supporto di un gruppo di bio-informatici.

Centro di eccellenza nazionale ed internazionale, l’Unità Operativa complessa di Ematologia è un polo attrattivo per pazienti intra ed extra-regionali e un centro di riferimento per lo svolgimento di numerosi studi clinici volti a migliorare la pratica clinica e a investigare le più moderne immunoterapie, incluse le terapie cellulari avanzate con cellule CAR-T (Chimeric Antigen Receptor T cell therapies). Attualmente, sono attivi oltre 60 studi clinici sul MM, di cui 40 studi interventistici di farmaco (fase I-III).

Gammapatie monoclonali

Le gammapatie monoclonali sono quadri clinico-laboratoristici caratterizzati dalla proliferazione e accumulo nel midollo osseo di una famiglia (clone) di linfociti B e plasmacellule sintetizzanti anticorpi (immunoglobuline) (Ig), costituite da due catene pesanti e due catene leggere, identiche per caratteristiche isotipiche (stessa classe di Ig) e idiotipiche (stesso sito di legame con l’antigene nella regione variabile), complete o incomplete, rilevabili nel siero e/o nelle urine.

Tali Ig prendono il nome di Componente monoclonale (CM) e vengono identificate nel grafico elettroforetico o con la tecnica della immunofissazione sierica, metodiche laboratoristiche che evidenziano rispettivamente una omogenea migrazione (che dà origine al caratteristico picco monoclonale) o un omogeno precipitato monoclonale. Qualora vi sia solo un eccesso di catene leggere queste possono essere rilevate nel siero (dosaggio delle catene leggere libere sieriche, kappa o lambda, con rispettivo sbilanciamento del rapporto tra le due classi) e/o nelle urine, dove danno origine alla proteinuria di Bence Jones.

Gammapatia monoclonale di significato indeterminato (MGUS) e gammapatie di significato clinico (MGCS)

Con il termine MGUS viene identificato un quadro clinico asintomatico e caratterizzato laboratoristicamente da una modesta CM, per lo più sierica (ma anche a sole catene leggere, sieriche o urinarie), in assenza di evidenza di MM, macroglobulinemia di Waldenström (o linfoma linfoplasmacitico), amiloidosi AL o altre neoplasie linfoidi. Le cellule affette sono le plasmacellule midollari, responsabili della produzione dell’immunoglobulina patologica.

L’incidenza è pari a 1-2 % della popolazione adulta, con età media pari a 70 anni e incidenza <2% nella popolazione con età inferiore a 40 ma fino al 5-10 nei soggetti di età > 80 anni. La prevalenza aumenta con l’età ed è più elevata nella popolazione maschile rispetto a quella femminile.

Il quadro clinico è per definizione asintomatico, unicamente caratterizzato dalla presenza della CM, usualmente di modesta entità, in assenza di qualsiasi evidenza di malattia linfoproliferativa e con infiltrazione plasmacellulare midollare inferiore al 10%.

Il rischio evolutivo da MGUS a mieloma o a una delle altre sindromi linfoproliferative sintomatiche a 20 anni dalla diagnosi, in ragione del numero di fattori prognosticamente sfavorevoli presenti (CM > 15 grammi/litro, sottotipo non-IgG, alterato rapporto kappa/lambda delle catene leggere, incremento progressivo nel tempo della CM), è stratificato come:

  • rischio basso – nessuno dei fattori (5% a 20 anni)
  • rischio basso/intermedio – un solo dei fattori (21% a 20 anni)
  • rischio intermedio-alto – due dei fattori (37% a 20 anni)
  • rischio alto – tre fattori (58% a 20 anni)

Il paziente con MGUS non necessita di alcuna terapia ma solo di saltuario controllo laboratoristico, fino al momento in cui si dimostri l’eventuale evoluzione; la frequenza dei controlli è variabile a seconda del rischio della MGUS stessa.

Alcune MGUS possono in realtà sottendere un danno d’organo, più o meno severo, che si manifesta in assenza di tutti i criteri diagnostici di mieloma o di macroglobulinemia di Waldenström; in tali condizioni vengono mantenute le caratteristiche laboratoristiche o midollari della MGUS, ma si forma un danno dovuto alla deposizione delle catene leggere monoclonali. Tali forme assumono il nome di gammapatie monoclonali a significato clinico (MGCS). Gli organi più frequentemente interessati sono i reni (in tal caso si parla di MGRS: gammapatia monoclonale di significato renale), il sistema nervoso periferico, la cute. Tali condizioni, di difficile identificazione, richiedono spesso biopsie dell’organo mirato per arrivare ad una diagnosi. Nell’MGRS l’elemento che maggiormente pone il sospetto è la presenza di una abbondante proteinuria, anche solo in minima parte monoclonale e talora alterazione della funzione renale. La forma più complessa di queste MGCS è la sindrome POEMS (polineuropatia, organomegalia, endocrinopatia, CM, alterazioni cutanee), caratterizzata da un quadro clinico severamente alterato dovuto alle manifestazioni multiorgano. Il danno neurologico è sempre presente, ed è caratterizzato da una polineuropatia a carattere prevalentemente demielinizzante. In aggiunta, pazienti affetti da POEMS presentano endocrinopatie che possono spaziare da alterazioni della tiroide, delle ghiandole surrenali fino ad alterazioni all’asse gonadico-ipofisario. Frequente è anche un sovraccarico del volume extra-vascolare, caratterizzato da edemi (presenti in percentuale variabile fino all’80% dei pazienti), versamento pleurico e ascite (che possono interessare fino alla metà dei pazienti). Spesso sono presenti anche papilledema, trombocitosi o policitemia, epatomegalia, splenomegalia e/o linfoadenomegalie e lesioni ossee osteo-addensanti. La terapia delle MGCS consiste, oltre al supporto e alle terapie specifiche volte a migliorare l’organo coinvolto, nell’eliminare quel piccolo clone di plasmacellule midollari responsabile della produzione delle catene leggere che depositandosi creano danno. È pertanto una terapia mimata dalle malattie associate alla CM, quali il MM e la macroglobulinemia di Waldenström.

Mieloma multiplo

Il mieloma multiplo (MM) è una patologia neoplastica caratterizzata da proliferazione ed accumulo nel midollo osseo, e più raramente in sedi extra-midollari, di B-linfociti e plasmacellule monoclonali che producono immunoglobuline monoclonali e possono essere causa di danno scheletrico e/o renale.

L’incidenza della malattia è attorno a 7 casi per 100.000 abitanti, aumenta con l’età, con picco tra i 60 e 70 anni ed età media di insorgenza pari a 65 anni. Il genere maschile è colpito con rapporto 2 a 1 rispetto al femminile. Spesso rappresenta l’evoluzione di una MGUS, ma può anche insorgere de novo, non preceduto da una gammapatia. In un terzo di casi circa è asintomatico, e riconosciuto solo per l’alterazione di parametri laboratoristici e midollari; tale quadro prende il nome di MM asintomatico o smoldering (SMM). La gestione del SMM dipende dalla presenza o assenza di fattori di rischio di progressione a MM attivo (tra cui i più importanti sono la quantità di CM, il suo incremento progressivo nel tempo, la percentuale di plasmacellule midollari, il livello di alterazione del rapporto delle catene leggere, la presenza di alterazioni citogenetiche nelle plasmacellule); le forme a basso rischio vengono osservate, come la MGUS, quelle a rischio elevato possono essere trattate nell’ambito di trials clinici dedicati o come fossero dei MM attivi.

Il mieloma attivo (MM) è invece caratterizzato o da uno o più sintomi inquadrabili nell’acronimo CRAB o dalla presenza di dati laboratoristico/strumentali indicativi di alto rischio di CRAB (> 80% in due anni) qualora non venga iniziato un trattamento (i cosiddetti Slim-CRAB). Di seguito i sintomi CRAB:

  • C: sindrome ipercalcemica, correlata all’azione litica delle plasmacellule neoplastiche sul tessuto osseo, con rilascio di calcio nel sangue
  • R: insufficienza renale, correlato alla presenza ed escrezione urinaria di catene leggere prodotte dalle plasmacellule neoplastiche, che si depositano nei tubuli o nei glomeruli renali come tali o sotto forma di amiloide, come anche all’ipercalcemia indotta dall’azione litica delle plasmacellule neoplastiche o al danno renale provocato dall’utilizzo di farmaci anti-infiammatori a scopo antidolorifico
  • A: anemia, secondaria all’infiltrazione midollare da parte delle plasmacellule, che riducono la produzione delle cellule normali e alla ridotta produzione o disponibilità dell’eritropoietina, il principale ormone che sostiene l’eritropoiesi e la produzione di emoglobina
  • B: lesioni scheletriche (dall’inglese bone lesions), coinvolgimento scheletrico sotto forma di osteoporosi o lesioni litiche, più spesso localizzato nelle sedi ricche in midollo osseo (colonna vertebrale, costole, bacino, cranio ed ossa lunghe), che si può complicare con fratture e danni neurologici, dovuto ad un aumentato riassorbimento osseo, non accompagnato da adeguata neo-apposizione. Le lesioni scheletriche sono la principale causa di dolore osseo nei pazienti, alterazione della qualità di vita e possibili complicanze ortopediche/neurologiche

Slim-CRAB:

  • Infiltrato plasmacellulare > 60%
  • Alterazione del rapporto delle catene leggere libere sieriche > 100
  • Presenza di più di una lesione focale alla risonanza magnetica nucleare

Esistono numerosi fattori prognostici che definiscono la durata di risposta alle terapie e la sopravvivenza; i principali fattori sfavorevoli sono la presenza di alcune alterazioni citogenetiche nelle plasmacellule, la presenza di malattia extramidollare (nei tessuti molli) o di leucemizzazione periferica (plasmacellule circolanti), l’assenza di una risposta di elevata qualità alle terapie, la presenza di co-morbidità che impediscono un corretto trattamento.

L’attuale terapia del MM è basata sull’impiego di farmaci non-chemioterapici, con diverso meccanismo d’azione sul microambiente midollare o direttamente sulla cellula neoplastica, variamente combinati tra loro, in associazione o meno al trapianto autologo di cellule staminali, riservato solo ai pazienti eleggibili per età (<70-72 anni) e assenza di rilevanti co-morbidità. Le tre classi principali di farmaci impiegati sono gli agenti immunomodulanti (IMiDs) (Talidomide, Lenalidomide, Pomalidomide), gli inbitori del proteasoma (Bortezomib, Carfilzomib, Ixazomib) e gli anticorpi monoclonali anti CD-38 (Daratumumab, Isatuximab) e anti SLAM F7 (Elotuzumab). Un nuovo importante target terapeutico è rappresentato da BCMA, un antigene espresso ampiamente sulle plasmacellule neoplastiche, che viene colpito attraverso varie strategie di immunoterapia, o con anticorpi immunoconiugati (Belantamab Mafodotin) o in via sperimentale con anticorpi monoclonali bispecifici o cellule CAR-T. La scelta della combinazione terapeutica è basata sullo stato di approvazione dei farmaci dall’autorità regolatoria italiana (AIFA), sull’età del paziente, sulla presenza di eventuali co-morbidità che controindichino un particolare trattamento e talora su motivazioni logistiche in base alla modalità e frequenza di somministrazione dei farmaci. La moderna terapia contro il MM è continuativa, che significa proseguire con la strategia scelta (pur se ridotta a dosi di mantenimento dopo una fase iniziale di induzione) finché la malattia rimane in risposta o non si accumulino inaccettabili effetti collaterali. Qualora la malattia diventasse resistente a una combinazione, è necessario, dopo aver eseguito una ri-stadiazione completa, cambiare strategia e iniziare una terapia di seconda, terza, quarta e successive linee.

Accanto ai farmaci diretti contro la cellula mielomatosa, mantiene primaria importanza la terapia di supporto; quella volta contro i danni scheletrici prodotti dalla aumentata attività osteoclastica indotta dalla cellula mielomatosa, mediante la periodica somministrazione di bifosfonati, così come quella sostitutiva emotrasfusionale o con fattori di crescita della eritropoiesi o della granulocitopoiesi quando la malattia o la tossicità terapeutica sino causa di ridotta produzione midollare.

Amiloidosi AL

Con il termine di amiloidosi viene indicato un gruppo eterogeneo di disordini del metabolismo proteico, ereditari o acquisiti, che si contraddistinguono per la deposizione extracellulare di materiale proteico autologo insolubile, avente la caratteristica struttura di fibrille (amiloide). L’amiloide deriva dall’assemblarsi di precursori proteici anomali che assumono una struttura a foglietto beta ripiegato e formano depositi fibrillari in associazione con altre sostanze di natura non proteica. A seconda della natura biochimica del precursore della proteina amiloide, le fibrille si possono depositare a livello di un singolo organo o tessuto, o possono determinare un interessamento sistemico che può coinvolgere virtualmente ogni organo. La forma AL dell’amiloidosi, unica forma ad essere gestita e trattata presso l’Istituto Seràgnoli, è causata dalla deposizione di catene leggere prodotte da un clone plasmacellulare midollare e rappresenta l’amiloidosi più frequente (56% di tutte le forme), pur essendo in senso assoluto una patologia rara, con incidenza pari a 5-12 casi per 1.000.000 di abitanti per anno. La catena leggera che si deposita è più frequentemente quella lambda. Tutti gli organi possono essere interessati ma i più frequenti sono i reni, il fegato l’apparato gastro-intestinale, il tessuto nervoso periferico e il cuore; quest’ultimo rappresenta la forma più grave, e l’entità del suo coinvolgimento è il principale fattore prognostico in questi pazienti. Il marcatore laboratoristico di interessamento cardiaco è l’enzima NT pro BNP, che risulta elevato in maniera proporzionale all’entità del danno dell’organo. Spesso le manifestazioni di esordio sono aspecifiche ed includono sintomi quali l’astenia ed il calo ponderale (entrambi presenti in oltre la metà dei pazienti), la dispnea, l’edema, le parestesie e l’ipotensione ortostatica. All’esame obiettivo è rilevabile epatomegalia in circa il 30% dei casi, mentre quadri clinici tipici quali la porpora periorbitaria e la macroglossia sono presenti nel 10%-15% dei casi all’esordio. La possibilità di una amiloidosi AL deve essere sempre considerata in un paziente con documentata componente monoclonale nel siero e/o nelle urine e/o con alterato rapporto delle catene leggere libere sieriche k/λ, e con associati quadri clinici quali proteinuria con albuminuria o sindrome nefrosica non altrimenti giustificata, cardiomiopatia non ischemica e aumentati valori di NT-proBNP, manifestazioni neurologiche a tipo di neuropatia sensitiva periferica o di sindrome del tunnel carpale, epatomegalia con aumentati valori di fosfatasi alcalina, macroglossia o porpora periorbitaria. La conferma diagnostica si basa sulla dimostrazione, su prelievo bioptico tessutale/parenchimale, della caratteristica birifrangenza verde mela sotto la luce polarizzata alla colorazione rosso Congo e successiva identificazione delle catene leggere tramite immunoistochimica o analisi proteomica o all’immuno-microscopia elettronica. L’amiloidosi può essere primitiva, se associata a un quadro laboratoristico tipo MGUS, o secondaria in corso di MM (in particolare nelle fasi di recidiva). La terapia dell'amiloidosi AL comprende agenti diretti contro il clone plasmacellulare sottostante, con l'obiettivo di ridurre rapidamente la produzione delle catene leggere amiloidogeniche e limitare la progressione del danno d’organo; questa è pertanto mimata dai trattamenti per il mieloma multiplo. La candidabilità al trapianto autologo di cellule staminali è in questo caso guidata principalmente dall’assenza di severo coinvolgimento cardiaco.

Collaborazione attiva e continuativa con i seguenti gruppi di ricerca internazionale e nazionale:

  • International Myeloma Working Group (Co-responsabilità del gruppo di ricerca sull’Imaging)
  • International Myeloma Society (Responsabilità del Comitato per la promozione della Carriera dei giovani)
  • European Myeloma Network (Principal Investigator di alcuni protocolli di fase II e III)
  • EHA (European Hematology Association) nella stesura del programma del congresso annuale
  • European Myeloma Network Italy (Responsabilità di alcune commissioni di ricerca)
  • SIE (Società italiana di Ematologia) per la stesura di linee guida e lì organizzazione di eventi educativi nazionali
  • AIOM (Associazione Italiana Oncologia medica) per la stesura di linee guida
  • Promozione e docenza nel primo master italiano sul mieloma multiplo

A livello dell’IRCCS AOU di Bologna, collaborazione continuativa sia per la gestione clinica dei pazienti per un approccio integrato che per comuni progetti di ricerca con le seguenti altre specialistiche:

  • Medicina Nucleare/Radiologia
  • Cardiologia
  • Nefrologia

  • Impact of different treatment strategies on clonal evolution in multiple myeloma – P.I. M. Cavo (Finanziamento Ministero Salute RF-2016-02362532)
  • Unravelling the impact of different treatment strategies on intra-clonal heterogeneity in Multiple Myeloma – Progetto AIRC IG 2014 (2015-2018) - PI M. Cavo
  • StreaMMing "The dynamics of Multiple Myeloma minimal residual disease in the peripheral blood stream” – Progetto AIRC IG 2018 (2019-2024) - PI M. Cavo
  • Studio della malattia minima residua con metodiche ad alta risoluzione (finanziamento EMN Research Italy) – C. Terragna, on-going
  • Caratterizzazione genomica e immunofenotipica della plasmacellula in pazienti con mieloma di nuova diagnosi (finanziamento EMN Research Italy) – C. Terragna, on-going