Programma di Unità Operativa - Terapia e Biologia della Leucemia Mieloide Cronica



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Responsabile Scientifico:
Prof. Fausto Castagnetti
(Dirigente Medico U.O. Ematologia; IRCCS S.Orsola Malpighi, Bologna; Professore Associato Università di Bologna, SSD Malattie Del Sangue).

Il gruppo Leucemia Mieloide Cronica (LMC) è caratterizzato da una componente clinica, coinvolta nel disegno e nella conduzione di studi clinici nazionali e internazionali, e da una controparte di laboratorio, che svolge ricerca di tipo traslazionale. Il gruppo svolge attività assistenziale e di ricerca clinica, con i seguenti obiettivi:

  1. terapia dei pazienti in fase cronica e avanzata, con valutazione dell'efficacia e della sicurezza degli inibitori delle tirosino-chinasi
  2. sperimentazione di nuovi farmaci e di strategie terapeutiche innovative mirate alla sospensione del trattamento;
  3. valutazione della qualità della vita dei pazienti affetti da LMC
  4. creazione di registri o di studi osservazionali per l’analisi dei fattori prognostici, lo studio delle cause di resistenza e la terapia della LMC in fase avanzata
  5. studio della biologia della cellula staminale leucemica con particolare riferimento ai pathways che alimentano la resistenza alla terapia
  6. studi genomici e funzionali sui meccanismi di progressione della malattia
  7. sviluppo di nuove tecnologie ‘high throughput’ (NGS, digital PCR) per il monitoraggio della risposta molecolare e l’identificazione di mutazioni che conferiscono resistenza al trattamento con inibitori delle tirosin-chinasi

Leucemia Mieloide Cronica

È una patologia neoplastica invariabilmente caratterizzata dalla presenza di un gene ibrido (BCR-ABL) che codifica una tirosino-chinasi, responsabile di un continuo stimolo alla proliferazione cellulare e di una instabilità genomica che comporta il rischio di alterazioni genetiche addizionali e di evoluzione verso la fase blastica della malattia.

La presenza del di tale gene ibrido caratterizza la Leucemia Mieloide Cronica, mentre le restanti sindromi mieloproliferative croniche presentano mutazioni genetico-molecolari eterogenee.

Caratteristica distintiva della malattia è la produzione incontrollata di granulociti neutrofili, basofili ed eosinofili, oltre a precursori maturanti della granulocitopoiesi che si ritrovano nel sangue periferico.

In assenza di terapia efficace, tale patologia presenta un andamento clinico trifasico con evoluzione dalla fase cronica alla fase blastica, talora con uno stadio intermedio detto fase accelerata, che può essere mancante in alcuni casi. La capacità differenziativa viene progressivamente compromessa e diviene sempre più difficoltoso il controllo con la terapia della leucocitosi periferica. La fase blastica è caratterizzata dalla perdita della capacità maturativa delle cellule mieloidi, con sviluppo di un quadro morfologico e clinico sovrapponibile a quello di una leucemia acuta.

La sintomatologia d’esordio varia a seconda dello stadio della malattia e circa il 50% dei pazienti è completamente asintomatico. Con l’aumentare della massa neoplastica compaiono sintomi sistemici quali spossatezza, malessere, perdita di peso, profusa sudorazione, sensazione di ingombro addominale (correlato all’aumento volumetrico della milza), fenomeni dolorosi articolari (dovuti a notevole produzione e precipitazione di acido urico derivante dal catabolismo cellulare).

La diagnosi si basa:

  • sulla valutazione dell’emocromo, con riscontro di una leucocitosi variabile, con la presenza nel sangue periferico di precursori della granulopoiesi con prevalenza di mielociti e granulociti neutrofili ed una percentuale variabile di mieloblasti (<15% in fase cronica), cui si associano basofilia ed eosinofilia
  • sulla morfologia midollare caratterizzata da iperplasia e mantenimento della capacità maturativa (in fase cronica) sovrapponibili a quelle osservate nel sangue periferico
  • sull’analisi citogenetica che, nel 90-95% dei casi mette in evidenza la traslocazione bilanciata tra il cromosoma 9 (dove si trova il gene ABL) e il cromosoma 22 (dove si trova il cromosoma BCR), con formazione di un cromosoma di piccole dimensioni detto cromosoma di Philadelphia (Ph), dal nome della città in cui fu osservato per la prima volta. Talora sono presenti anche altre anomalie citogenetiche, addizionali al cromosoma Ph, che coinvolgono altri cromosomi. In alcuni casi il cromosoma Ph non è dimostrabile, ma si evidenzia comunque la presenza del gene di fusione BCR-ABL

Le opzioni terapeutiche sono rappresentate da:

  • inibitori delle tirosino-chinasi (imatinib, nilotinib, dasatinib, bosutinib, ponatinib, asciminib): questi agenti consentono di ottenere un controllo a lungo termine della malattia, con remissione molecolare nella maggioranza dei casi. Di conseguenza, essi rappresentano l’opzione di prima scelta per la quasi totalità dei pazienti di nuova diagnosi
  • chemioterapia antiblastica: idrossiurea e busulfano sono da ritenersi terapie palliative in quanto, pur ottenendo la remissione dei sintomi con riduzione o scomparsa della splenomegalia, non risultano curativi e non prolungano la sopravvivenza
  • trapianto di midollo allogenico: è un’opzione terapeutica potenzialmente curativa, ma con rischio di tossicità terapeutica e mortalità precoce. Attualmente viene utilizzato nei pazienti resistenti ad almeno due linee di terapia con inibitori delle tirosino-chinasi e per il trattamento delle fasi avanzate della malattia

L’obiettivo del trattamento oggi non è soltanto quello di raggiungere una probabilità di sopravvivenza sovrapponibile a quella della popolazione generale, ma è anche quello di cercare di sospendere la terapia farmacologica (treatment-free remission) attraverso il raggiungimento di una risposta molecolare profonda stabile. L’interruzione del trattamento ad oggi è possibile solo in alcuni pazienti. I fattori che influenzano la decisione terapeutica iniziale sono la fase di malattia (cronica, accelerata o blastica), la probabilità di evoluzione sfavorevole (calcolata attraverso alcuni score prognostici alla diagnosi), la presenza di alterazioni citogenetiche addizionali al cromosoma Ph, l’età del paziente, e la presenza di co-morbidità. Nei pazienti che non raggiungono una risposta ottimale o che risultano intolleranti alla terapia farmacologica, le scelte terapeutiche successive sono determinate dal tipo di resistenza, dall’eventuale acquisizione di anomalie citogenetiche o molecolari (in particolare, mutazioni puntiformi del gene BCR-ABL), dalle condizioni del paziente e dal tipo di tossicità osservato con le terapie precedenti.

L’Istituto “Seràgnoli” ha da molti anni un ruolo preminente all’interno del CML (Chronic Myeloid Leukemia) Working Party (WP) del GIMEMA (Gruppo Italiano Malattie EMatologiche dell’Adulto), con un contributo determinante nella stesura dei protocolli clinici di studio, nel reperimento dei fondi necessari, nel coordinamento dei Centri partecipanti e nell’analisi finale dei dati, con successiva presentazione e pubblicazione.

Inoltre, l’Istituto collabora con numerosi Centri Ematologici europei nell’ambito del CML Working Party del network European LeukemiaNet (ELN) e del progetto EUropean Treatment and Outcome Study (EUTOS) for CML, frutto di una collaborazione tra ELN e Novartis Oncology Europe. Il gruppo di ricerca organizza eventi scientifici a livello nazionale e internazionale, prende parte alla direzione di organi nazionali ed è coinvolto attivamente nella definizione di linee guida e raccomandazioni nazionali e internazionali sulla LMC. Il Gruppo LMC conduce numerosi studi clinici prospettici investigator-initiated o company-sponsored di fase I-II-III o osservazionali condotti in accordo con le linee guida ICH-GCP, oltre ad alcuni studi retrospettivi, e ha un coinvolgimento attivo in progetti di ricerca finanziati (PRIN, FIRB, AIL, AIRC).